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“Mamma, quel bambino mi picchia!”. Il fenomeno del bullismo

“Mamma, quel bambino mi picchia!”. Il fenomeno del bullismo

Recentemente si sente molto parlare di bullismo, viene in notrso aiuto nella riflessione la psicologa Tania Vetere. Buona riflessione a tutti!

“Mamma, quel bambino mi picchia!” – il fenomeno del bullismo

Il termine bullismo deriva dall’inglese “Bullying” e si riferisce a un’oppressione psicologica o fisica perpetuata da una persona – o da un gruppo di persone – più potente nei confronti di un’altra persona percepita come più debole.

Tutti noi, genitori, insegnanti, amici, parenti, ci ritroviamo spesso a domandarci fino a che punto un ragazzino/bambino possa essere considerato semplicemente “vivace” oppure “preoccupante”; nel momento in cui notiamo comportamenti aggressivi, oppositivi, provocatori, ci spaventiamo, non riusciamo distinguere nettamente ciò che rientra nella “normalità” da ciò che potrebbe trasformarsi in “patologico”, non siamo certi del limite che differenzia queste due realtà.

Gli studi condotti sull’argomento riportano che la differenza tra le normali dispute tra bambini e gli atti di bullismo veri e propri consiste nella predeterminazione e – dunque – nell’intenzionalità che caratterizza questi ultimi, nella ripetitività nel tempo, nonché nella soddisfazione che gli autori di tali abusi ne traggono. E’ inoltre implicito un tratto sadico tipico di tali comportamenti ed esiste quasi sempre uno squilibrio di tipo fisico o numerico tra il bullo e la sua vittima.

Come forse già sappiamo, ciò che caratterizza questo fenomeno è anche il fatto che la maggior parte di questi atti si verifica nelle scuole, in particolare nei corridoi e nei cortili di queste, ma anche nei pressi degli istituti scolastici o comunque nei luoghi frequentati dai gruppi di bambini.

Sembrerebbero esistere delle differenze di genere significative: i bulli sono prevalentemente maschi, ma esiste altresì una notevole percentuale di femmine in grado di mettere in atto comportamenti di bullismo; le ragazze parrebbero preferire il bullismo nella forma verbale e ancor più in quella indiretta (isolamento sociale, dicerie sul conto della vittima, calunnie e Cyberbullismo), piuttosto che in quella fisica, più prettamente maschile.

Tra le conseguenze più comuni che riguardano le vittime del bullismo spiccano la perdita di autostima e di sicurezza: questo vissuto di disagio e di stress può portare a sviluppare sintomi psicosomatici tipici dei disturbi da stress, quali mal di testa, mal di pancia/disturbi gastrico-intestinali, disturbi del sonno e pavor nocturnus (terrore notturno), disturbi d’ansia, fino a veri e propri attacchi di panico.

Questa condizione può influire negativamente anche sullo sviluppo delle capacità di concentrazione e, dunque, di apprendimento. Nei casi più gravi il vissuto traumatico e depressivo può indurre le vittime a metter in atto comportamenti a rischio che talvolta possono portare anche a gravi fenomeni di autolesionismo, poiché la vittima arriva ad autocolpevolizzarsi per l’accaduto, e persino alla morte (tentativi di suicidio). Questo rischio è davvero molto elevato, come ci conferma la triste cronaca sull’argomento.

Per quanto riguarda la prevenzione di questo fenomeno, sempre più presente nella nostra quotidianità, le ricerche sottolineano l’importanza di interventi focalizzati sui genitori e sul loro stile educativo; inoltre rilevano la necessità di investire risorse in programmi preventivi finalizzati alla promozione dei comportamenti prosociali nelle varie fasi dello sviluppo. Infatti, atteggiamenti e comportamenti prosociali contribuiscono all’attivazione di processi di mediazione utili per la costruzione di un buon adattamento scolastico e sociale.

Pensiamo ora ad uno dei tanti casi di bullismo, quello avvenuto a Roma poche settimane fa che vede protagonista un bambino di 5 anni (link: http://www.huffingtonpost.it/2015/02/19/bambino-bullo-asilo_n_6711612.html): una delle maestre stava cercando (sembrerebbe anche con successo) una soluzione al comportamento aggressivo del bambino con la collaborazione dei genitori; la madre difende “a spada tratta” il figlio, pur non essendo in grado di fornire giustificazioni attendibili (“Mio figlio è più bello dei vostri!”); i genitori degli altri bambini della classe lo accusano di essere un “bullo violento” ed allontanano i figli da lui. Potremmo chiederci dove stia la verità, chi abbia ragione, chi abbia torto, da dove scaturisca il comportamento aggressivo del bambino e se sia effettivamente un caso di “bullismo”.

Certamente in questa sede nessuno di noi è in grado di dare una risposta certa! Ma ciascuno può indubbiamente riflettere su quante differenti interpretazioni e punti di vista possano scaturire da un singolo episodio…

Dott.ssa Tania Vetere – Psicologa

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“Mamma, quel bambino mi picchia!” – il fenomeno del bullismo

Il termine bullismo deriva dall’inglese “Bullying” e si riferisce a un’oppressione psicologica o fisica perpetuata da una persona – o da un gruppo di persone – più potente nei confronti di un’altra persona percepita come più debole.

Tutti noi, genitori, insegnanti, amici, parenti, ci ritroviamo spesso a domandarci fino a che punto un ragazzino/bambino possa essere considerato semplicemente “vivace” oppure “preoccupante”; nel momento in cui notiamo comportamenti aggressivi, oppositivi, provocatori, ci spaventiamo, non riusciamo distinguere nettamente ciò che rientra nella “normalità” da ciò che potrebbe trasformarsi in “patologico”, non siamo certi del limite che differenzia queste due realtà.

Gli studi condotti sull’argomento riportano che la differenza tra le normali dispute tra bambini e gli atti di bullismo veri e propri consiste nella predeterminazione e – dunque – nell’intenzionalità che caratterizza questi ultimi, nella ripetitività nel tempo, nonché nella soddisfazione che gli autori di tali abusi ne traggono. E’ inoltre implicito un tratto sadico tipico di tali comportamenti ed esiste quasi sempre uno squilibrio di tipo fisico o numerico tra il bullo e la sua vittima.

Come forse già sappiamo, ciò che caratterizza questo fenomeno è anche il fatto che la maggior parte di questi atti si verifica nelle scuole, in particolare nei corridoi e nei cortili di queste, ma anche nei pressi degli istituti scolastici o comunque nei luoghi frequentati dai gruppi di bambini.

Sembrerebbero esistere delle differenze di genere significative: i bulli sono prevalentemente maschi, ma esiste altresì una notevole percentuale di femmine in grado di mettere in atto comportamenti di bullismo; le ragazze parrebbero preferire il bullismo nella forma verbale e ancor più in quella indiretta (isolamento sociale, dicerie sul conto della vittima, calunnie e Cyberbullismo), piuttosto che in quella fisica, più prettamente maschile.

Tra le conseguenze più comuni che riguardano le vittime del bullismo spiccano la perdita di autostima e di sicurezza: questo vissuto di disagio e di stress può portare a sviluppare sintomi psicosomatici tipici dei disturbi da stress, quali mal di testa, mal di pancia/disturbi gastrico-intestinali, disturbi del sonno e pavor nocturnus (terrore notturno), disturbi d’ansia, fino a veri e propri attacchi di panico.

Questa condizione può influire negativamente anche sullo sviluppo delle capacità di concentrazione e, dunque, di apprendimento. Nei casi più gravi il vissuto traumatico e depressivo può indurre le vittime a metter in atto comportamenti a rischio che talvolta possono portare anche a gravi fenomeni di autolesionismo, poiché la vittima arriva ad autocolpevolizzarsi per l’accaduto, e persino alla morte (tentativi di suicidio). Questo rischio è davvero molto elevato, come ci conferma la triste cronaca sull’argomento.

Per quanto riguarda la prevenzione di questo fenomeno, sempre più presente nella nostra quotidianità, le ricerche sottolineano l’importanza di interventi focalizzati sui genitori e sul loro stile educativo; inoltre rilevano la necessità di investire risorse in programmi preventivi finalizzati alla promozione dei comportamenti prosociali nelle varie fasi dello sviluppo. Infatti, atteggiamenti e comportamenti prosociali contribuiscono all’attivazione di processi di mediazione utili per la costruzione di un buon adattamento scolastico e sociale.

Pensiamo ora ad uno dei tanti casi di bullismo, quello avvenuto a Roma poche settimane fa che vede protagonista un bambino di 5 anni (link: http://www.huffingtonpost.it/2015/02/19/bambino-bullo-asilo_n_6711612.html): una delle maestre stava cercando (sembrerebbe anche con successo) una soluzione al comportamento aggressivo del bambino con la collaborazione dei genitori; la madre difende “a spada tratta” il figlio, pur non essendo in grado di fornire giustificazioni attendibili (“Mio figlio è più bello dei vostri!”); i genitori degli altri bambini della classe lo accusano di essere un “bullo violento” ed allontanano i figli da lui. Potremmo chiederci dove stia la verità, chi abbia ragione, chi abbia torto, da dove scaturisca il comportamento aggressivo del bambino e se sia effettivamente un caso di “bullismo”.

Certamente in questa sede nessuno di noi è in grado di dare una risposta certa! Ma ciascuno può indubbiamente riflettere su quante differenti interpretazioni e punti di vista possano scaturire da un singolo episodio…

Dott.ssa Tania Vetere – Psicologa

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